IL RUOLO DEI CARABINIERI NELLE OPERAZIONI DI PACE INTERNAZIONALI E NELLA PROMOZIONE DELLO STABILITY POLICING

INTRODUZIONE

La ratifica dello Statuto delle Nazioni Unite e la conseguente creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) hanno aperto la strada alla possibilità di prevenire e porre fine ai conflitti sulla base di norme formalmente condivise da tutti gli Stati del mondo. Particolare importanza rivestono le operazioni comunemente dette “di peacekeeping”, condotte all’interno del quadro giuridico ONU o da altre organizzazioni internazionali, le quali adottano gli stessi princìpi.

L’Italia, specialmente dagli anni Ottanta in avanti, si è distinta per il suo contributo sostanziale a tali missioni, spesso come leader. Alcuni esempi di spicco sono la forza multinazionale a guida statunitense (MNF) e UNIFIL I e II in Libano, UNITAF e UNOSOM I e II in Somalia ed ISAF in Afghanistan. Il valore attribuito dall’Italia al multilateralismo e all’importanza delle missioni internazionali è un elemento chiave della politica estera italiana, da sempre condiviso dalle principali forze politiche. L’impegno italiano è valso al nostro Paese vari appellativi, tra cui quello di “poliziotto dell’Occidente” (“The West’s policeman”)1: l’Italia risulta, infatti, tra i Paesi occidentali più attivi nell’ambito delle operazioni di pace internazionali.

Il contributo italiano non è importante solo in termini di numeri: le Forze Armate annoverano infatti alcune unità e competenze specifiche particolarmente apprezzate a livello internazionale, sovente considerate un modello da imitare2. Una di queste è l’Arma dei Carabinieri, sulla quale l’articolo si concentra: essa, infatti, è una cosiddetta gendarmeria, ovvero una forza formalmente militare la quale svolge funzioni di polizia. Questa peculiarità rende le gendarmerie particolarmente indicate per il peacekeeping, e l’addestramento delle forze di polizia locali. L’expertise dei Carabinieri è testimoniato anche dalla presenza di un centro di eccellenza NATO a Vicenza, la cui funzione è quella di contribuire allo sviluppo delle dottrine, nonché allo svolgimento di attività formative ed esercitazioni rivolte al personale degli Stati membri, riguardanti la pratica di Stability Policing (SP), ossia l’addestramento delle forze di polizia locali.

L’articolo mira a mettere in luce e valorizzare il contributo delle Forze Armate, in particolare dell’Arma dei Carabinieri, alle operazioni di pace internazionali: fornirà in primo luogo una breve panoramica del coinvolgimento italiano nelle operazioni di pace internazionali dal Secondo Dopoguerra ad oggi, facendo al contempo chiarezza sulle definizioni giuridiche e operative di tali missioni. A ciò seguirà un approfondimento sul concetto di Stability Policing e sul ruolo specifico dell’Arma dei Carabinieri nel peacekeeping internazionale. In seguito, si illustrerà il ruolo del NATO Stability Policing Centre of Excellence (NATO SP CoE) e del Center of Excellence for Stability Police Units (CoESPU) di Vicenza, con particolare attenzione dedicata al contributo dell’Arma dei Carabinieri alle attività di entrambi i centri.

IL RUOLO DELLE FORZE ARMATE ITALIANE NELLE OPERAZIONI DI PACE INTERNAZIONALI

Al termine della Seconda Guerra Mondiale, con la creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), diventò possibile, ed auspicabile, intervenire per porre fine a crisi o conflitti, interni ed internazionali, tali da costituire una minaccia alla pace. Il Consiglio di Sicurezza ONU, composto dai cinque membri permanenti, più dieci a rotazione, “può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale” (Art. 42 dello Statuto delle Nazioni Unite)3, qualora le misure non implicanti l’uso della forza da esso intraprese non si siano dimostrate efficaci.

Negli anni abbiamo assistito ad una proliferazione di organizzazioni internazionali, alcune delle quali prevedono anche competenze in campo militare, e sono pertanto capaci di condurre esse stesse operazioni di pace internazionali. L’Italia è membro fondatore di due di esse: l’Unione europea (UE) e l’Organizzazione per il Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO/OTAN). Entrambe hanno accresciuto il proprio ruolo nelle operazioni di pace internazionali a partire dagli anni Novanta: l’Unione europea si è dotata di una Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) e la NATO ha dedicato maggiore attenzione alle cosiddette “operazioni fuori area”.

Esistono vari tipi di operazioni di pace internazionali, e ogni organizzazione internazionale adotta una propria dottrina e le proprie definizioni. Esse includono:

  • Le missioni di osservazione: esse consistono nell’invio di osservatori militari delle Nazioni Unite (UNMO). Gli osservatori sono membri di alto rango delle forze armate dei Paesi membri delle Nazioni Unite, i quali ricevono un addestramento specifico e lavorano in team multinazionali, in modo da assicurarne l’imparzialità. Gli UNMO non sono dotati di armamenti. Al momento, secondo il sito web della United Nations Truce Supervision Organization (UNTSO), gli osservatori militari attivi sono 153, provenienti da 27 Paesi membri4.
  • Le operazioni di peacekeeping tradizionali: secondo la tradizionale definizione, esse consistono nella presenza di forze armate terze, quindi imparziali rispetto alle fazioni in lotta, le quali hanno il compito di assicurare il rispetto di accordi di cessate il fuoco o di pace già raggiunti dalle parti, fungendo quindi da “forza cuscinetto”. I peacekeepers sono quindi autorizzati ad utilizzare la forza solo per autodifesa5. Le missioni di peacekeeping “tradizionali” hanno però, col tempo, specialmente dopo la fine della Guerra Fredda, lasciato il posto alle missioni di peacebuilding.
  • Le operazioni di peacebuilding: esse prevedono un ruolo più attivo delle organizzazioni internazionali o coalizioni coinvolte, le quali prevedono solitamente anche una nutrita componente civile. Scopo del peacebuilding è prevenire lo scoppio oppure il ritorno di un conflitto aiutando le comunità ed i governi locali a creare le condizioni per una pace che sia sostenibile nel tempo. Ad oggi la maggior parte delle operazioni di pace internazionali prevede una componente attiva di peacebuilding6.
  • Le operazioni di “peace enforcement”: esse si distinguono in quanto caratterizzate dall’autorizzazione, da parte del Consiglio di Sicurezza ONU, all’utilizzo della forza non più esclusivamente per scopi di autodifesa, ma al fine di imporre la pace alle parti in conflitto e ripristinare la situazione antecedente l’avvenimento che ha costituito una minaccia alla pace riconosciuta come tale dal Consiglio di Sicurezza7.

L’Italia è entrata a far parte dell’ONU il 14 dicembre 19558 (ricoprendo, tra l’altro, diverse volte negli anni la posizione di membro non permanente al Consiglio di Sicurezza ONU9) e partecipa alle operazioni di pace internazionali sin dal 1960. La prima di esse fu ONUC in Congo, attiva dal 1960 al 1964, il cui scopo fu di assistere il governo congolese nel pieno raggiungimento dell’indipendenza politica e dell’integrità territoriale, nonché nel mantenimento della stabilità interna, messa a repentaglio da disordini e mire separatiste, in particolare nella regione del Katanga. Nel 1961, tredici aviatori italiani persero la vita nell’eccidio di Kindu10.

La letteratura è concorde nell’identificare gli anni Ottanta come il periodo in cui l’attivismo italiano nelle operazioni di pace internazionali ha preso forma11. Fabrizio Coticchia e Andrea Ruggeri (2022) identificano come eventi chiave la partecipazione italiana alla forza multinazionale in Libano (MNF) dal 1982 al 1984 (con una presenza nel Paese in media di duemila uomini), nonché la partecipazione ad altre missioni più ristrette e la redazione del Libro bianco sulla difesa del 198512.

Ancora più importante, per Coticchia e Ruggeri, fu l’Operazione Desert Storm nel 1991, operazione di peace enforcement a guida statunitense e autorizzata dalla Risoluzione n.678 del Consiglio di Sicurezza ONU in seguito all’invasione irachena del Kuwait13: fu soprattutto l’esperienza della Prima Guerra del Golfo a portare alla trasformazione delle Forze Armate italiane, passando da un focus sulla difesa territoriale ad un’enfasi sulla “schierabilità” in missioni fuori dal Paese.

Da allora, l’Italia ha partecipato a missioni talvolta impegnative e ad alto rischio, come UNOSOM I e II in Somalia, durante la quale, il 2 luglio del 1993 a Mogadiscio, è avvenuta la battaglia del pastificio, o del “Checkpoint Pasta”, durante la quale persero la vita tre militari italiani14. Un altro teatro importante per la storia dell’impegno italiano nelle operazioni di pace internazionali fu l’operazione Alba, autorizzata dal Consiglio di Sicurezza ONU, ma condotta da una “coalizione di volenterosi” a guida italiana, nel 199715. In tale occasione, l’Italia si dimostrò capace di condurre operazioni di pace internazionali complesse e di dimensioni notevoli (parteciparono ad Alba più di seimila truppe, la metà italiane, l’altra metà proveniente da altri sette Paesi). L’operazione Alba, oltre ad essere riconosciuta come un successo, fu un esempio di preferenza italiana per il multilateralismo: come riporta un’analisi dello IAI del 2012, “nonostante lo sforzo militare fosse prettamente italiano, fu creato un comitato politico ad hoc dei Paesi partecipanti, uno Steering Committee, per fornire una direzione politica multinazionale alla missione”16. Sempre nei Balcani Occidentali, l’Italia ha partecipato alle operazioni di peace enforcement e successiva stabilizzazione in Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Macedonia e Kosovo (alcuni esempi sono IFOR/SFOR, KFOR, UNPROFOR, Deliberate Force)17.

Notevole è anche la partecipazione italiana alle operazioni di pace internazionali in Medio Oriente, quali le missioni International Security Assistance Force (ISAF) e Resolute Support in Afghanistan, la NATO Training Mission in Iraq (NTM-I) e la missione UNIFIL in Libano. Altro teatro rilevante per l’Italia è il continente africano, con il contributo a missioni quali ONUMOZ in Mozambico dal 1992 al 1994, la missione EUFOR Chad dal 2008 al 2009, la missione MINURSO nel Sahara Occidentale, EUTM RCA nella Repubblica Centroafricana18.

Le ragioni dell’impegno italiano nelle operazioni di pace internazionali includono, ma non si limitano al perseguimento dell’interesse nazionale: l’impegno italiano deriva anche dall’adesione, non solo retorica, a valori quali il multilateralismo e la necessità di “fare la propria parte” (non essere, quindi, un security consumer, ma un security producer) a livello internazionale. Tramite la sua partecipazione alle operazioni di pace internazionali, l’Italia si è guadagnata la reputazione di “poliziotto dell’Occidente” (“West’s policeman”)19, l’interesse da parte di diversi ricercatori, italiani e internazionali, nonché il riconoscimento dell’importanza del suo contributo da parte di diversi leader e funzionari.

IL RUOLO INTERNAZIONALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI. LA NASCITA E LA PROMOZIONE DELLO STABILITY POLICING

A garantire all’Italia un ampio riconoscimento nel campo delle operazioni di pace internazionali non è solo l’aspetto quantitativo della partecipazione italiana. Le Forze Armate italiane sono riconosciute anche per delle specifiche capacità che possiedono, e che si sono dimostrate preziose nelle missioni di pace post-Guerra Fredda.

L’esempio sul quale l’articolo si concentra è quello dell’Arma dei Carabinieri. Essa è infatti uno dei pochi corpi di gendarmeria con una partecipazione consistente alle operazioni internazionali. La ricercatrice dell’Atlantic Council Elizabeth Braw ha dedicato alcuni articoli al ruolo internazionale dei Carabinieri, auspicando che un numero maggiore di Paesi si doti di simili reparti20. La loro duplice identità di forze di polizia e forze militari li rende ideali per molte delle attività, non strettamente militari, necessarie al successo delle operazioni di pace internazionali, specie quelle di peacebuilding. Oltre a prendere parte a missioni militari in senso stretto, i Carabinieri sono ideali, in virtù della loro esperienza nei compiti di polizia, per addestrare le forze di polizia locali e supportarle nel mantenere l’ordine finché le istituzioni dello Stato locale rimangono fragili.

Un’altra specialità dei Carabinieri nell’ambito delle operazioni di pace internazionali è il “peacekeeping culturale”: questa è una categoria di operazione di pace emersa solo recentemente, in particolare a seguito della distruzione sistematica, da parte delle forze dell’ISIS, di siti e reperti archeologici (Foradori, 2016). I Carabinieri, i quali annoveravano già dal 1969 il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale ed esperienze precedenti di attività efficace di tutela del patrimonio culturale locale durante operazioni di pace internazionali, rappresentavano il reparto ideale per la creazione di una Task Force volta a proteggere il patrimonio culturale messo in pericolo dall’avanzata dell’ISIS. Tale Task Force nacque nel 2016, a seguito di un memorandum d’intesa tra l’UNESCO e l’Italia. Il compito di protezione del patrimonio culturale è stato successivamente integrato anche nelle missioni della PSDC, in particolare con EUMAM Iraq, in buona parte ispirandosi all’esperienza italiana21.

Tornando però alla duplice natura militare e di polizia dell’Arma dei Carabinieri, è a questi ultimi che si deve la nascita del concetto di “Stability Policing”. L’origine del concetto viene ricollegata alle Multinational Specialized Units (MSU), unità a livello di reggimento il cui modello fu istituito dalla NATO nel contesto degli sforzi di stabilizzazione nei Balcani. La MSU fu ispirata dai Carabinieri, i quali furono designati come suoi leader22. La prima MSU fu schierata in Bosnia-Erzegovina nel 1997, e ad essa seguirono MSU in Albania, Kosovo e Iraq23. Il tipo di mansioni svolte dalle MSU prese poi il nome di “Stability Policing”, che veniva già utilizzato nella letteratura sulle operazioni internazionali. Lo Stability Policing diventò anche parte della dottrina NATO con il documento AJP-3.22 (Allied Joint Publication for Stability Policing), promosso dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e promulgato ufficialmente il 4 luglio 201624. La definizione dottrinale di Stability Policing fornita dalla dottrina NATO è l’unica attualmente esistente, nota il Generale di Brigata De Magistris su Geopolitica.info25. Lo Stability Policing viene definito come “l’insieme di attività connesse al settore di polizia, tese a rinforzare o temporaneamente sostituire le forze di polizia locali, al fine di contribuire al ripristino e/o al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, dello stato di diritto e della protezione dei diritti umani”26.

L’esperienza dei Carabinieri a guida delle MSU, nonché nelle precedenti operazioni di pace internazionali, ed il loro ruolo nell’elaborazione della dottrina NATO sullo Stability Policing hanno contribuito a generare una forte domanda per il tipo di know-how che l’Arma possiede. L’ex generale statunitense e direttore della CIA, David Petraeus, paragonò l’efficacia dell’addestramento con i Carabinieri in materia di Stability Policing a quella sul campo da basket di Michael Jordan27.

In virtù di questa singolare esperienza, l’Italia ospita a Vicenza il NATO Stability Policing Centre of Excellence (NATO SP CoE) dal 2014. Il NATO SP CoE è un centro di eccellenza multinazionale dell’Alleanza e svolge tre funzioni principali28:

  • Contribuisce all’evoluzione delle dottrine e delle pratiche in materia di Stability Policing;
  • Fornisce corsi di formazione per il personale civile e militare coinvolto in operazioni di Stability Policing;
  • Raccoglie le “lezioni apprese” dalle precedenti operazioni e le diffonde tra il personale civile e militare.

Oltre all’Italia, contribuiscono con risorse e personale al NATO SP CoE la Repubblica Ceca, la Francia, la Grecia, i Paesi Bassi, la Polonia, la Romania, la Spagna e la Turchia. Ad oggi il Centro è guidato dal Colonnello dei Carabinieri Luigi Bramati.

A Vicenza si trova inoltre un altro ente preposto alla diffusione delle conoscenze e delle lezioni apprese in materia di Stability Policing: il Center of Excellence for Stability Police Units (CoESPU). Il Centro, nato nel 2005 su iniziativa italiana e in partnership con gli Stati Uniti, è guidato dall’Arma dei Carabinieri. Similmente al NATO SP CoE, il CoESPU, ad oggi diretto dal Generale di Brigata Giuseppe De Magistris, fornisce formazione e contribuisce allo sviluppo della dottrina in materia di Stability Policing.

In un’intervista per Geopolitica.info, il Generale De Magistris ha fornito alcune cifre del contributo del CoESPU alle operazioni di pace internazionali:

“Nel corso dei suoi 18 anni di attività, ad oggi il CoESPU ha formato 13.964 peacekeepers provenienti da 128 Paesi su 193 esistenti al mondo da impiegare nelle missioni delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni regionali”29.

 Il CoESPU è aperto a tutti i Paesi desiderosi di formare unità specializzate in questo tipo di operazioni ed ha siglato accordi di intesa con varie università, centri di ricerca organizzazioni internazionali e Paesi terzi. Tra i firmatari di accordi bilaterali con il CoESPU figurano il Dipartimento per le operazioni di pace delle Nazioni Unite e lo stesso NATO SP CoE30. Il CoESPU ospita inoltre ogni anno diversi studenti universitari italiani nell’ambito di un programma di tirocini.

CONCLUSIONE

Le operazioni di pace internazionali hanno, soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda, assunto crescente rilevanza per chiunque studi o pratichi la sicurezza internazionale. Il ruolo dell’Italia è andato formandosi di pari passo: dopo alcune importanti esperienze, come l’impegno in Libano negli anni Ottanta, l’attività italiana nell’ambito delle operazioni di pace internazionali è cresciuta al punto da far guadagnare all’Italia la statura di Paese leader, tra quelli occidentali, nell’ambito del peacekeeping. Ciò è dovuto, oltre che ad un impegno notevole in termini quantitativi, anche ad un’adesione convinta al principio del multilateralismo.

Altrettanto importanti sono la professionalità e alcune competenze di nicchia delle Forze Armate, che hanno generato ammirazione a livello internazionali e, in alcuni casi, sono state riconosciute come modello da seguire. È questo il caso dell’Arma dei Carabinieri, uno dei pochi reparti di gendarmeria al mondo con una solida esperienza in ambito internazionale. Proprio all’esperienza dei Carabinieri in contesti internazionali quali i Balcani si deve la redazione della dottrina NATO sulle operazioni di Stability Policing. L’esperienza dei Carabinieri nello Stability Policing e la sempre crescente domanda di competenze “ibride” (militari e di polizia) hanno generato una domanda di unità e capacità “carabinieri-like”. Il NATO Stability Policing Centre of Excellence e il Centre of Excellence for Stability Police Units di Vicenza, guidati dai Carabinieri, rispondono a questa sempre maggiore esigenza di un approccio multifattoriale alla sicurezza internazionale.

Pubblicato il 27/09/2024

Fabio Maina (Dossier Difesa, Digital Content Creator)


1. Abbondanza, G. (2020). The West’s Policeman? Assessing Italy’s Status in Global Peacekeeping. The International Spectator, 55(2), 127–141. https://doi.org/10.1080/03932729.2020.1731167

2. Braw, E. “For Not-Quite-Wars, Italy Has a Useful Alternative to Traditional Troops”. Defense One, 16 aprile 2018. https://www.defenseone.com/ideas/2018/04/todays-not-quite-wars-italy-has-alternative-traditional-troops/147457/

3. Statuto delle Nazioni Unite. Disponibile su: https://www.miur.gov.it/documents/20182/4394634/1.%20Statuto-onu.pdf.

4. Sito web UNTSO. “UNTSO Operations”. https://untso.unmissions.org/untso-operations.

5. DirittoConsenso. “Le operazioni di peacekeeping”. 10 agosto 2021. https://www.dirittoconsenso.it/2021/08/10/le-operazioni-di-peacekeeping/#_ftn9.

6. Sito web United Nations Peacekeeping. “Terminology”. https://peacekeeping.un.org/en/terminology.

7. Nazioni Unite, “United Nations Peacekeeping Operations. Principles and Guidelines”. 2008. Disponibile su: https://peacekeeping.un.org/sites/default/files/capstone_eng_0.pdf

8. Sito web Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. “Italy’s more than 60 years in the United Nations”. https://www.esteri.it/en/politica-estera-e-cooperazione-allo-sviluppo/organizzazioni_internazionali/onu/60-anniversario-dell-adesione-dell/

9. Ibid.

10. Frittoli, E. “Congo, 1961: il massacro degli aviatori italiani”. Panorama, 22 febbraio 2021. https://www.panorama.it/news/congo-massacro-1961

11. Coticchia, F. & Ruggeri, A. An International Peacekeeper. The Evolution of Italian Foreign and Defence Policy. ISPI Analysis, aprile 2022. https://www.ispionline.it/sites/default/files/loghi/analysis_international_peacekeeper.2022.pdf

12. Ibid.

13. Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Risoluzione 678(1990). https://digitallibrary.un.org/record/102245?v=pdf

14. Sito web Ministero della Difesa. “31° anniversario della battaglia del “Checkpoint Pasta” a Mogadiscio”. Roma, 2 luglio 2024. https://www.difesa.it/primopiano/31-anniversario-della-battaglia-del-checkpoint-pasta-a-mogadiscio/54294.html

15. Sito web Carabinieri. “1997. La missione Alba nel quadro della FMP”. https://www.carabinieri.it/arma/arma-all’estero/proiezione-internazionale/vol-ii-1936—2001/parte-iii/1997/alba. Si veda anche Forte, S. & Marrone, A. “L’Italia e le missioni internazionali”. Istituto Affari Internazionali. Settembre 2012. https://www.iai.it/sites/default/files/iai1205.pdf

16. Greco, E. “Delegated Peacekeeping: The Case of Operation Alba”. Istituto Affari Internazionali. Marzo 1998. https://www.iai.it/sites/default/files/iai9801.pdf

17. Sito web Parlamento Italiano, “Le missioni militari nei Balcani”. https://leg16.camera.it/561?appro=72&Le+missioni+militar

18. Servizio Studi della Camera dei deputati. “La partecipazione italiana alle missioni internazionali”. 6 dicembre 2022. https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1355755.pdf?_1682794549378.

19. Abbondanza, G. (2020). The West’s Policeman? Assessing Italy’s Status in Global Peacekeeping. The International Spectator, 55(2), 127–141. https://doi.org/10.1080/03932729.2020.1731167

20. Braw, E. “For Not-Quite-Wars, Italy Has a Useful Alternative to Traditional Troops”. Defense One, 16 aprile 2018. https://www.defenseone.com/ideas/2018/04/todays-not-quite-wars-italy-has-alternative-traditional-troops/147457/

21. Pietz, T. & Schmidtke, M. “EU CSDP Missions and the Protection of Cultural Heritage”. Istituto Affari Internazionali. 11 novembre 2019. https://www.iai.it/en/pubblicazioni/eu-csdp-missions-and-protection-cultural-heritage

22. Sito web Carabinieri. “Dal 1998. Un contributo importante: la MSU”. https://www.carabinieri.it/arma/arma-all%27estero/proiezione-internazionale/vol-ii-1936—2001/parte-iii/dal-1998/msu.

23. Sito web NATO Stability Policing Centre of Excellence, “Stability Policing. A new concept supporting NATO Operations”. Disponibile su: https://www.nspcoe.org/wp-content/uploads/2020/11/sp-a-new-concept-supporting-nato-op.pdf

24. Carrozza, P. “La polizia di stabilità (Stability Policing)”. Rassegna dell’Arma dei Carabinieri no. 4. Pp 120 – 134. https://www.carabinieri.it/Internet/ImageStore/Magazines/Rassegna/Rassegna%204-2016/mobile/index.html#p=125

25. Mattera, D. “Lo stability policy tra passato e futuro. Intervista al Gen. De Magistris”. Geopolitica.info. 12 febbraio 2024. https://www.geopolitica.info/nato-balcani-de-magistris/

26. Ministero della Difesa. “Opuscolo informativo sui centri di eccellenza”. Edizione 2021. Disponibile su: https://www.difesa.it/assets/allegati/31787/5.opuscolo_informativo_sui_centri_di_eccellenza.pdf

27. Abbondanza, G. “Italian Peacekeeping Missions: Vast, Praised and Underused”. IAI Papers 20. 2020. https://www.iai.it/sites/default/files/iaip2020.pdf. “The Carabinieri are for training what Michael Jordan is for basketball”

28. Sito web NATO Stability Policing Centre of Excellence. https://www.nspcoe.org/

29. Mattera, D. “Lo stability policy tra passato e futuro. Intervista al Gen. De Magistris”. Geopolitica.info. 12 febbraio 2024. https://www.geopolitica.info/nato-balcani-de-magistris/

30. Sito web CoESPU, “Partnership”. https://www.coespu.org/node/117.

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