L’EVACUAZIONE DEL PERSONALE NON MILITARE DALLE AREE DI CRISI
Ospite del II° Dialogo sulla Difesa: Gen. C.A. (ris.) Maurizio Boni
INTRODUZIONE
Il giorno giovedì 29 febbraio si è tenuto il secondo incontro di “Dialoghi sulla Difesa”, un’iniziativa di Dossier Difesa per interagire con i protagonisti del Comparto Difesa Italiano ed imparare dalle loro esperienze professionali e di vita. L’incontro ha avuto come ospite il Generale di Corpo d’Armata (ris.) Maurizio Boni, un professionista con un’esperienza militare di 41 anni, che ha ricoperto numerosi ruoli in Italia e in ambito internazionale in comandi NATO.
Dopo aver lasciato il servizio, il Generale si è dedicato intensamente alla condivisione della propria esperienza, con un particolare focus sul coinvolgimento dei giovani. All’inizio dell’incontro, ha espresso la convinzione che, dopo aver accumulato un bagaglio significativo di esperienze nel proprio campo professionale, sia essenziale trasferire tali conoscenze, specialmente alle nuove generazioni, per aiutarle ad affrontare le sfide future. Durante la sua carriera, ha raccontato, ha spesso riscontrato una mancanza di dibattito approfondito sul tema generale della Difesa e, in particolare, sull’impiego delle Forze Armate. Ha quindi sottolineato l’importanza di avviare una discussione seria sull’impiego delle risorse militari, considerando le sfide che dobbiamo affrontare in ambito internazionale e le scelte cruciali che il nostro Paese e l’Europa devono effettuare, anche nell’immediato futuro. In tale contesto, ha sottolineato il Generale, il progetto “Dossier Difesa” ispirato, guidato e sviluppato da giovani, costituisce uno strumento di divulgazione e informazione estremamente importante per sostenere questo dibattito.
L’intervento del 29 febbraio si è focalizzato sulla pianificazione e la condotta di un’operazione di evacuazione di concittadini dalle aree di crisi. Si tratta delle cosiddette NEOs, ovvero Non-combatant Evacuation Operations, un argomento quanto mai attuale, anche alla luce dei recenti conflitti.
ORIGINI E PRIMI ESEMPI
Il Generale ha introdotto l’argomento descrivendo l’operazione di evacuazione avvenuta a Saigon, in Vietnam, il giorno prima della caduta della Capitale sud-vietnamita nelle mani dei nord-vietnamiti, avvenuta il 30 aprile 1975. Distintiva di questa operazione è la fotografia che ritrae un edificio della CIA, luogo sicuro per le operazioni di evacuazione, dove alcuni rappresentanti dell’amministrazione statunitense, insieme ad alcuni collaboratori sud-vietnamiti, si arrampicano verso l’elicottero di Air America che li porterà in salvo. Si tratta di un’immagine iconica che si è riproposta, dopo 46 anni, con l’operazione di evacuazione da Kabul. La fotografia accanto alla prima, infatti, mostra proprio questi momenti dell’agosto 2021. Viene spiegato che, diversamente da Saigon, a Kabul si è trattato di una massiccia operazione internazionale che ha coinvolto numerosi Paesi, non solo quindi gli Stati Uniti ancorché fossero la Nazione maggiormente coinvolta. Da un punto di vista tecnico-professionale, sottolinea, possiamo considerare l’operazione di evacuazione da Kabul un successo, poiché i militari hanno dimostrato di avere la capacità di implementare risposte organizzative estremamente efficaci in tempi molto brevi. Tuttavia, vi sono state anche delle criticità, poiché la disponibilità del solo aeroporto di Kabul come punto di evacuazione ha creato una congestione rilevante degli assetti aerei impiegati nell’operazione.
DEFINIRE LE OPERAZIONI DI EVACUAZIONE
Il Generale ha poi continuato definendo le Operazioni di Evacuazione dei Non-Combattenti (NEO) facendo riferimento alle pubblicazioni della NATO. Si tratta, secondo il glossario NATO, di “un’operazione condotta per trasferire i non combattenti minacciati in un Paese straniero verso un luogo di sicurezza”. Ha chiarito che, nonostante la NATO non abbia mai diretto operazioni di evacuazione di civili, questa definizione è essenziale per unificare il know-how all’interno dell’Alleanza e facilitare la comunicazione tra gli Alleati. Ha sottolineato l’importanza di questa definizione in termini dottrinali, poiché fornisce un quadro comune su cui basare le operazioni e soddisfare le esigenze di tutti i Paesi facenti parte dell’organizzazione. A questo si aggiungono anche documenti nazionali da cui trarre ulteriori definizioni, come, per il caso dell’Italia, un manuale teorico-pratico redatto dall’Unità di Crisi del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI).
Successivamente, sono state esaminate le caratteristiche delle NEO, evidenziando la loro frequenza e la relativa mancanza di visibilità mediatica. Questo aspetto è rilevante, poiché fa comprendere come le operazioni NEO siano un ambito essenziale, sebbene poco conosciuto per la sua scarsa copertura informativa. Il Generale Boni ha illustrato con esempi concreti, come le operazioni di evacuazione in Libia nel 2012 o in Sud Sudan nel 2013, di cui lui stesso si è occupato come responsabile delle task force incaricate delle operazioni. In realtà, ha chiarito, il silenzio intorno a questo tipo di operazioni è spesso utile, perché facilita la gestione dell’emergenza e non compromette la reputazione del Paese in crisi.
Il Generale ha ribadito che le NEO sono risposte nazionali, pur essendo caratterizzate da una connotazione spiccatamente interforze e multinazionale. Ha enfatizzato l’obiettivo primario di queste operazioni, ossia la protezione dei connazionali e dei cittadini esteri che chiedono e accettano di essere soccorsi. Ha sottolineato la complessità di tali operazioni, che richiedono una pianificazione dettagliata e una gestione efficace delle risorse disponibili, nonché velocità di esecuzione e flessibilità, poiché ogni operazione si configura in uno scenario differente. Affrontando il tema della responsabilità, ha ricordato che la decisione di evacuare spetta sempre al Capo della Missione Diplomatica nel Paese, che ha quindi un ruolo cruciale nel garantire la sicurezza delle persone che si trovano sul territorio. In caso di situazioni di pericolo per la sicurezza, la Missione Diplomatica può richiedere l’assistenza delle forze militari per condurre un’operazione mirata a trasferire il personale autorizzato in un luogo sicuro attraverso un’evacuazione. Questa operazione è pianificata e condotta dal Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI) di Roma, tramite l’Italian Joint Force Headquarters e in stretta collaborazione con l’Unità di crisi del MAECI. Nel contesto appena delineato, lo scambio delle informazioni e delle pianificazioni relative ai Paesi più a rischio in ambito internazionale riveste un ruolo fondamentale. Il “NEO Coordination Group” è un consesso di 19 Nazioni che si consultano regolarmente per confrontare e discutere le rispettive modalità di gestione delle crisi.
A titolo di esempio, ha citato nuovamente il caso del Sud Sudan dove sono stati tratti in salvo una sessantina di cooperanti, italiani e stranieri. La task Force per l’evacuazione è stata approntata nel giro di poche ore su richiesta del MAECI ed è partita con destinazione l’aeroporto di Juba, Capitale del Sud Sudan, dove sarebbero avvenute le operazioni di recupero. I cooperanti, racconta, sono stati radunati fuori da uno degli edifici dell’aeroporto da un coordinatore che era in contatto sia con i militari che con l’Unità di Crisi che con il Comandante della task force. Quando quest’ultima ha raggiunto l’aeroporto, ha garantito la sicurezza dell’itinerario che portava dal punto di raccolta all’aereo utilizzato per l’evacuazione. La responsabilità di portarli all’aeroporto era invece della missione diplomatica, poiché i militari non erano autorizzati ad uscire dall’aeroporto.
Inoltre, il Generale ha affrontato il tema delle caratteristiche dei mezzi impiegati nelle NEO, sottolineando l’importanza dell’aspetto interforze e la capacità di pianificazione e gestione integrata delle operazioni. Ha evidenziato altresì la necessità di sviluppare una visione dettagliata degli scenari che includa tutti gli attori che, con le loro rispettive organizzazioni, sono potenzialmente in grado di interagire e influenzare lo sviluppo dell’operazione.. Per veicolare meglio questo messaggio, ha anche descritto alcuni scenari e alcuni possibili schemi di evacuazione, chiarendo quali siano le competenze diplomatiche e quali quelle militari.
CASO DI STUDIO: IL LIBANO DAL 2006 AD OGGI
Il Generale ha quindi introdotto lo scenario del Libano, attualmente uno dei più complessi, descrivendo l’operazione avvenuta nel 2006. Nel contesto della seconda guerra israelo-libanese del 2006, la situazione si era presentata estremamente critica, poiché Israele aveva bloccato tutti gli accessi, terrestri, aerei e marittimi al territorio libanese, compresi porti, aeroporti, strade principali e ponti. La situazione venutasi a creare nel Paese aveva messo a rischio la sicurezza di numerosi cittadini libanesi e stranieri residenti, portando alla necessità di operazioni di evacuazione di carattere emergenziale. Numerose comunità straniere erano coinvolte, tra cui vi erano 80.000 cittadini dello Sri Lanka, 50.000 canadesi, 25.000 australiani, 25.000 statunitensi, 22.000 britannici, 20.000 francesi, 20.000 provenienti dal Bangladesh, 15.000 dall’Egitto e 12.000 dall’India. Questi numeri mettono in evidenza l’ampiezza e la complessità delle operazioni di evacuazione affrontate. Molti di questi cittadini possedevano una doppia cittadinanza, il che ha ulteriormente complicato la situazione e ingrandito il quadro delle sfide logistiche e diplomatiche da affrontare.
Il Generale ha inoltre evidenziato il ruolo cruciale svolto da Cipro nel contesto delle operazioni di evacuazione durante il conflitto del 2006. In quel frangente, l’isola ha giocato un ruolo fondamentale come luogo sicuro (safe place) per l’accoglienza dei cittadini evacuati dal Libano. Tuttavia, si è verificata una complicazione imprevista: l’invasione improvvisa di decine di migliaia di persone in fuga dal Libano ha creato una situazione umanitaria all’interno della situazione umanitaria. Utilizzando le basi inglesi di Akrotiri e Dhekelia, oltre al porto di Larnaka, Cipro ha fornito un importante rifugio per i cittadini evacuati, ruolo che si rivela ancora oggi di fondamentale importanza in caso di necessità di evacuazione.
Dall’esperienza del 2006, che ha comunque fornito un insieme molto utile di lezioni apprese, si è quindi passati a esaminare il quadro di situazione attuale descrivendo le attività che vengono svolte, di norma, per gestire la complessità dello scenario. Queste comprendono l’acquisizione di dati di intelligence, seguite da consultazioni con l’Unità di Crisi in Italia e una valutazione dell’organizzazione dell’Ambasciata italiana sul territorio libanese. Inoltre, non solo vengono esaminati e valutati i piani di evacuazione degli attori internazionali più rilevanti, inclusi quelli dei contingenti militari come UNIFIL, ma vengono effettuate visite e stabiliti contatti con le Autorità di a Cipro per conoscere i dettagli del loro Piano di difesa civile (Piano Estia). Questi ultimi sono utili per coordinare le rispettive attività e per coadiuvare il Governo locale nella gestione della crisi.
Inoltre, sono stati esaminati i piani di evacuazione, i punti e i centri di raccolta, gli itinerari e i punti critici. È stato considerato il contesto religioso e confessionale del Libano, che prevede l’esistenza di interi quartieri sotto il controllo di diverse milizie e confessioni religiose. L’organizzazione e la preparazione di Cipro sono state analizzate in dettaglio, con particolare attenzione all’organizzazione della sua Protezione Civile, alla disponibilità di strutture di accoglienza e alla gestione dei voli e dei trasporti marittimi da e per il Libano. Infine, è stata sottolineata l‘importanza degli esercizi congiunti e delle esercitazioni, in cui i Paesi interessati testano il sistema e gli scenari. Le esercitazioni multinazionali annuali della serie Argonaut, alle quali partecipa regolarmente anche l’Italia, consentono di identificare gli aspetti critici e di raffinare la pianificazione in base alle esperienze condivise sul campo.
Il Generale ha anche fornito un resoconto degli eventi del 2013, quando siamo arrivati vicini a uno scontro diretto tra Israele e Hezbollah. In quell’occasione, la possibilità di un intervento militare da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito in risposta all’uso di armi chimiche in Siria ha reso molto probabile l’attivazione dei piani di evacuazione predisposti dalla Comunità internazionale. Questo episodio ha ribadito l’importanza di una preparazione continua e di un piano di evacuazione pronto all’uso in situazioni di emergenza.
Oggi infatti, nel 2024, in uno scenario di possibile conflitto tra Israele e Hezbollah, il quadro delle operazioni di evacuazione sarebbe ancora più complesso. La presenza di circa 1,5 milioni di rifugiati siriani a seguito della guerra civile in Siria, oltre a 250.000 lavoratori provenienti dall’Etiopia, dalle Filippine, dal Bangladesh e dallo Sri Lanka, rende la situazione ancora più delicata. Questi elementi, combinati con tensioni settarie esacerbate e un’instabilità interna critica, creano un contesto altamente volatile che richiederebbe una risposta rapida ed efficace in caso di necessità di evacuazione.
CONCLUSIONE
Durante una ricca Q&A session sono stati affrontati diversi argomenti riguardanti la pianificazione delle operazioni militari e la cooperazione internazionale. In risposta ad una domanda riguardante la periodicità della revisione dei piani e la gestione delle aree di crisi, è emerso che il processo di revisione è continuo e dinamico, influenzato dalle nuove informazioni e circostanze che emergono. Non esiste un framework normativo rigido, ma piuttosto una risposta alle necessità e alle variazioni del contesto. Il monitoraggio costante delle aree di crisi consente di adattare rapidamente i piani alle nuove situazioni.
Quanto al ruolo dell’Unione Europea nel settore militare, il Generale ha espresso qualche dubbio riguardo alla realizzazione di una difesa comune europea, come già sottolineato in un precedente articolo da lui redatto e pubblicato sulla rivista “Analisi Difesa”. Sebbene si stia lavorando per potenziare l’industria della difesa e migliorare la cooperazione, la mancanza di unanimità politica e di una visione condivisa rende difficile un reale progresso in questo ambito. Si è sottolineato che attualmente la struttura militare della NATO rimane l’unica in grado di esprimere una capacità militare efficace, integrata e interoperabile.
La sessione è stata informativa e interessante, portandoci ad una riflessione sull’importanza di queste operazioni in un contesto globale sempre più frammentato, dove l’ombra di conflitti in atto e nuove tensioni ci fa riconoscere quanto sia importante essere informati e preparati per proteggere i nostri connazionali all’estero. Siamo molto grati al Generale per il suo tempo e per la semplicità e l’entusiasmo con cui è riuscito a trasmetterci concetti complessi.
Pubblicato il 02/05/2024
Anna Lucky Dalena (Dossier Difesa, Content Analyst)
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